Per la scorsa Stagione abbiamo paragonato il teatro che riapriva alla scatola dei tesori che si fa da bambini, perché la riapertura significava anche il mostrare al mondo tutto ciò che di prezioso si custodisce.
Oggi diamo a quella scatola che è il Teatro l’immagine della cassa armonica. Qualcosa che amplifica ciò che già ha suono, oppure che dà voce a chi non ne ha.
Qualcosa che risuona delle voci al suo interno e fa risuonare quelle che sono all’esterno: cioè la vita di una città, in tutte le sue forme, manifestazioni, pensieri, travagli, scoperte, in tutta la sua bellezza sempre sotto gli occhi. Da guardare anche cambiando la prospettiva, di tanto in tanto, affidandoci, perché no, alla semplicità dei grandi maestri che dicono che vogliono “cambiare il mondo” e per questo fanno teatro. Per questo il Teatro: per un cambiamento. Quei maestri il mondo lo osservano e lo raccontano e ci si specchia in esso, e il teatro allora si fa motore propulsivo di un cambiamento. Perché, se proviamo a partire dai nostri luoghi, quelli che formano la nostra identità, e proviamo a scrutare gli angoli, gli scorci che spesso diamo per scontati, ma che visti da un’altra prospettiva ci svelano una luce che non immaginavamo quei luoghi diventano anche luoghi interiori che parlano di noi, con una dose di imprevedibilità.
Camminando, allora, può capitare di fermarsi a guardare un mulinello di foglie e carte in un angolo ventilato del nostro cammino giornaliero lungo una strada familiare, e in quel mulinello si apre una sorta di porta verso noi stessi, nelle nostre mille espressioni.
In qualche modo tutti, a prescindere dal lavoro che fanno, hanno un angolino della loro mappa interiore in cui nutrono un desiderio, piccolo/grande, difficile/accessibile. Come sogniamo di raggiungere la luna, così misteriosa, così viviamo la nostra vita nella città che amiamo nel desiderio di bellezza.
Teatro e comunità si specchiano uno nell’altra, facendosi cassa di risonanza per quella bellezza, dalle espressioni più tradizionali a quelle più sperimentali, perché tutto è espressione dell’uomo: il bisogno di osservare le proprie radici culturali, e quello di andare oltre, esplorare l’ignoto, sfidare i confini della comunicazione.
Ci alleniamo alla bellezza guardando uno spettacolo, al pari di quando osserviamo dei restauratori in pausa pranzo che mangiano sorridenti il loro panino, o come quando in un treno osserviamo una carezza che un passeggero fa a chi sta abbandonato al sonno sulla sua spalla.
Le prospettive sono molteplici nella ricerca in questa scatola che chiamiamo Teatro.